Good times for a change
See, the luck I've had
Can make a good man
Turn bad
So please please please
Let me, let me, let me
Let me get what I want
This time
Haven't had a dream in a long time
See, the life I've had
Can make a good man bad
So for once in my life
Let me get what I want
Lord knows, it would be the first time
Lord knows, it would be the first time

[The Smiths, Please please please, let me get what I want]



Da Olivander, bacchette dal 382 avanti Cristo.

Il ragazzo si avvicinò al negozio lentamente, uscendo da un vicolo laterale e dal cono d’ombra in cui si era rifugiato, deciso a non badare all’insegna che ancora, dopo quasi due anni, pendeva su un lato, mentre attraversava Diagon Alley.
Rimase lì un paio d’istanti, indeciso, spaventato: mancavano pochi passi per entrare, eppure potendo avrebbe dato tutto l’oro rimasto nei depositi di famiglia alla Gringott – meno di quanto avrebbe potuto trovarci un paio di anni prima, ma sempre cifre interessanti – pur di non essere obbligato a farlo.
Probabilmente se avesse potuto avrebbe preferito rimanere senza bacchetta, sarebbe tornato a casa senza pensarci due volte. Non poteva farci niente, però, perché i maghi non erano in grado di incanalare la propria energia magica senza uno strumento ausiliario che facesse da catalizzatore – la bacchetta, appunto.
E se Draco Malfoy già non spiccava in nessuna particolare branca della magia, senza bacchetta difficilmente avrebbe potuto dimostrarsi così diverso dai Babbani che disprezzava tanto. Peccato che la sua fosse rotta e inutilizzabile. Aveva conservato i pezzi, che teneva anche in quel momento nella tasca sinistra del suo pastrano.
Monconi inutili, senza potere.
Il ragazzo si guardò intorno: sapeva che c’erano altri fabbricanti di bacchette, alcuni avevano perfino la loro bottega nelle vie minori intorno a Diagon Alley – la via principale era riservata al grande maestro – e a pensarci bene moriva dalla voglia di affidarsi a uno di questi. Fuggire, ancora una volta, e nascondersi dal confronto con il suo passato, ecco quello che voleva fare.
Si dondolò sui propri piedi, guardandosi intorno: aveva trovato strano, se non ridicolo a dirla tutto, l’incaponimento di suo padre perché si recasse da Olivander anche questa volta. Un Malfoy ha sempre quanto c’è di meglio sul mercato, era riuscito a ripetergli quella frase anche mentre il ragazzo stava uscendo quella mattina.
Draco si era morso la lingua per evitare di chiedergli se, secondo questo principio, anche ad Azkaban aveva ricevuto la cella migliore ed era uscito di corsa da quella casa che ormai gli sembrava più una prigione.
Erano successe troppe cose, in quelle stanze, tanto che lui avrebbe desiderato trasferirsi il prima possibile. Anche questo non era possibile: la loro famiglia doveva tornare alla normalità e dare l’impressione di essere forte e pronta a tornare in sella, sebbene fino ad allora l’avessero sfangata e la loro libertà fosse ancora in bilico, basata sulla parola di Harry Potter.
Draco strinse i pugni: Merlino, com’erano caduti in basso.
Sull’onda di quei pensieri, in particolare ricordando quanto dovesse in quel periodo al grande eroe del mondo magico, il ragazzo decise di entrare, finalmente; non aveva ancora richiuso la porta che già sentiva lo sguardo del negoziante fisso sulla schiena. Dovette farsi forza per non fuggire di corsa, sentendo i brividi lungo la schiena.
Olivander non disse nulla, ma non smise di fissarlo. Il suo volto non lasciava trasparire emozioni.
Draco strinse i denti, chiedendosi cosa poteva pensare l’altro in quel momento: non poteva aver dimenticato ciò che era successo a Malfoy Manor, certo che no. Allora, si domandò il ragazzo, cosa aspettava a cacciarlo?
Neanche lui poteva dimenticare, ma distingueva tra il ricordo e la decisione di affrontare le proprie responsabilità relative a quanto era accaduto nella sua casa.
- Venga pure avanti, signor Malfoy, è inutile che rimanga sulla porta.
La voce di Olivander non era cambiata, era la stessa che Draco ricordava pensando a quel giorno di molti anni prima, quando i suoi genitori lo avevano ad acquistare la sua bacchetta in vista della scuola.
Se il fabbricante di bacchette aveva la stessa voce, non si poteva dire altrettanto del suo aspetto: la prigionia aveva lasciato un segno visibile su di lui, che era ancora molto smunto e si muoveva con aria affaticata.
Draco rabbrividì ancora ricordando una volta di più che quanto aveva cambiato quel vecchio era capitato a casa sua.
- Buongiorno – salutò mentre si avvicinò lentamente al bancone – avrei bisogno di una bacchetta nuova.
Si sentì la voce stridula, molto più alta del normale, e imprecò mentalmente, certo che quello non fosse il solo segno del suo nervosismo. Doveva mantenersi calmo, dannazione!
- La sua le sta dando problemi? Mi ricordo che era un’ottima bacchetta, e l’ultima volta che ho avuto il piacere di parlare con il signor Potter ho saputo che aveva intenzione di restituirgliela – Olivander accennò a un sorriso, nel pronunciare l’ultima frase, forse nella consapevolezza di irritare il suo giovane cliente. – Dieci pollici, relativamente elastica, biancospino e crine di unicorno, non ho ragione?
Draco annuì, infastidito dal modo di parlare del negoziante, come se fosse stato un cliente qualunque. Ciò che non diceva, tuttavia, l’uomo lo comunicava con gli occhi, troppo incavati per conferirgli un aspetto sano.
- Da quando le dà fastidio avere clienti? Mi serve una bacchetta nuova – rispose il ragazzo con tono più acido di quello che forse avrebbe voluto usare.

Mi serve perché, quando dall’alto della sua pietà quella buon’anima di Harry Potter ha deciso di restituirmi la mia, io l’ho spezzata in due sotto il suo naso.

Draco strinse i pugni, arrabbiato.

Ma questo non posso dirtelo, vecchio, non posso confessarti che ho distrutto uno degli oggetti a me più cari per orgoglio, né posso ammettere che mi sono già pentito di quello che ho fatto.

Sentiva con le dita i due monconi della bacchetta distrutta e la cosa lo faceva star male. Come avrebbe potuto accettare che Harry Potter gli restituisse la bacchetta in quel modo, in una generosità che Draco non si meritava – e questo il grande eroe l’aveva fatto ben intendere – per concedergli l’occasione di riscattarsi?
Draco voleva ricominciare, ne aveva un bisogno che non sapeva neanche spiegare a parole, ma non voleva avere altri motivi per sentirsi in debito con Potter.
La sua situazione era già abbastanza patetica: suo padre stava cercando con la sua schiera di avvocati di salvare quanto possibile della loro vita, non sembrava neanche troppo toccato da tutto l’orrore, la vergogna, l’umiliazione che si erano riversati di su di loro, mentre sua madre aveva ripreso i panni della padrona di casa, pronta a fare per l’ennesima volta da salvagente per la famiglia.
Per il ragazzo, però, era diverso: si era scottato con un mondo che, osservato di riflesso per tutta la vita, gli era sempre apparso come il meglio a cui potesse aspirare, e che aveva invece scoperto essere l’inferno.
Aveva scoperto che tra minacciare mezza e più popolazione mondiale di morte e rendere concreta quella stessa minaccia… Beh, c’era più che prendere la bacchetta e scegliere la formula magica da usare.
Rapidamente la vita che aveva sempre desiderato si era trasformata in un incubo, e la disgrazia in cui era piombata la sua famiglia agli occhi dell’Oscuro Signore non aveva fatto che peggiorare le cose.
Draco non aveva mai pensato, prima del suo diciassettesimo compleanno, che essere un Mangiamorte e agire come tale fosse malvagio, anzi. Credeva che fosse sua madre, così delicata e sensibile, a esagerare sulle conseguenze che avrebbe comportato il suo desiderio di seguire le orme paterne.
Non aveva capito nulla, no, almeno fino a quando non era stato minacciato perché portasse a termine i suoi doveri, fino a che sua zia Bellatrix non gli aveva rivolto contro la bacchetta perché torturasse degli innocenti, fino a quando non si era trovato su quella maledetta torre.
E da lì, il baratro.
Arrivare a dover assistere all’ignobile trattamento a cui era stato sottoposto Olivander, incomprensibile per il ragazzo visto che il mago poteva vantare antenati di sangue Puro da lì fino all’anno zero, per poi collaborare per il divertimento dell’Oscuro… Beh, quello era stato il limite, in un certo senso, e Draco aveva cominciato a domandarsi che persona davvero volesse essere. Voleva essere davvero cattivo?
Lui, in fondo, voleva soltanto vivere tranquillo, a pensarci bene, voleva far valere i suoi diritti di Purosangue, ma passare l’esistenza in quel modo no, non gli piaceva. Sempre nel terrore, sempre sotto minaccia, con una zia che godeva nel vedere la sorella affondare, piuttosto che aiutarla… Non era la vita che Draco voleva per sé e per la sua famiglia.
- Come desidera, signor Malfoy: vediamo cosa c’è in magazzino che può fare al caso suo.
A quel consenso, il giovane si sentì sollevato: non l’avrebbe mai detto ad alta voce, perché sapeva che sarebbe risultato patetico, ma non sapeva descrivere il bisogno che aveva… doveva vedere che le cose sarebbero andate come voleva lui, per una volta, sì, per dargli la spinta giusta e ripartire da capo.
Fissò la piccola clessidra sul bancone di Olivander, che quando era entrato era appena stata capovolta, e notò che era ormai vuota: quanto tempo avevano passato a fissarsi? Il ragazzo non lo sapeva, preso com’era dai suoi pensieri…
Solo in quel momento si accorse di come gli scaffali della bottega fossero mezzi vuoti: la razzia dei Mangiamorte, suppose, che avevano approfittato del rapimento per rifornirsi di tutte le bacchette necessarie per i loro crimini.
Olivander si era rimesso in attività, ma ci sarebbe voluto molto tempo per rimediare a quello scempio.
Come richiamato dai pensieri del giovane, il proprietario ricomparve con diverse scatole tra le mani. – Purtroppo, come saprà, non è il momento migliore per un simile acquisto, ma cercherò di trovare uno strumento adatto a lei.
Ne provò parecchie, quasi tutte con un cuore di crini di Unicorno, come la sua prima bacchetta, ma senza risultato: a prescindere dal tipo di legno, dalla lunghezza e dal modello, nessuna rispose alla sua presa. Sembrava quasi che quel tipo di materiale magico si rifiutasse di reagire al contatto con il giovane mago, in una maniera quasi snervante.
- È strano, in genere ogni mago rimane legato al cuore della sua prima bacchetta… Non che tutte le bacchette con un cuore analogo – non identico, badi bene, perché raramente uso campioni presi dallo stesso esemplare – debbano reagire ugualmente, ma sembra quasi che il suo flusso di energia magica sia cambiato.
Era possibile? Draco non lo sapeva, ma immaginò che fosse come per i Patroni, aveva sentito dire che potevano cambiare forma in seguito a forti emozioni. – Dovrei cambiare genere di bacchetta, dunque?
- Sarebbe il caso – commentò Olivander, abbassandosi per cercare qualcosa nei cassetti del bancone. Tirò fuori una scatola piuttosto polverosa, su cui soffiò per darle un minimo di decoro. – Questa è una delle ultime che ho creato prima di essere rapito: è stato un bene averla messa qui, i Mangiamorte non hanno frugato oltre il primo rotolo di pergamene.
I Mangiamorte, non i suoi compari o i suoi cari amici, come molta gente era solita chiamare i seguaci di Voldemort in presenza del giovane Malfoy, per spregio.
Draco cercò di non fare caso al riferimento alla cattura del fabbricante di bacchette e aprì la scatola: era una bacchetta sottile, più lunga della precedente, di legno nero. L’impugnatura presentava un decoro più chiaro, come un intaglio, riccioli eleganti che ricordavano vagamente le fiamme.

Tiger.

La prese in mano e subito sentì che era quella giusta: non fu come al momento di acquistare la prima, ebbe una sensazione più pungente e fastidiosa, eppure era la sua. Guardò per un attimo Olivander come per avere una conferma, tanto per essere sicuro, e dal vago sorriso del mago seppe di aver indovinato.
- Ebano e piuma di fenice, una combinazione interessante… Non sarà una bacchetta facile, glielo posso anticipare, ma saprà darle delle soddisfazioni.
Non aveva importanza, Draco voleva solo tornare a fare incantesimi. Rimase in silenzio, mentre restituiva la bacchetta a Olivander, che gliela incartò e controllò il prezzo.
- La sua prima bacchetta è stata usata per compiere magie orribili, signor Malfoy, e forse è un bene che abbia concluso il suo operato – commentò il commerciante senza lasciare la presa sulla scatolina – mi auguro che questa vada incontro a un futuro migliore.

Me lo auguro anch’io, vecchio.

Draco rispose con un lieve cenno del capo, lasciò sul bancone i soldi contati e con la sua nuova bacchetta in tasca, insieme ai resti della precedente, fece per uscire dal negozio.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla: chiedere scusa, domandare perdono? Rischiava di apparire ridicolo e fuori luogo, e a pensarci bene le parole non servivano in quel frangente.
- Vuole che lasciarli a me, i due pezzi? Non credo si possa fare granché, è irrecuperabile, ma potrei recuperare i crini per un nuovo esemplare…
Se non era un’assoluzione quella, Draco non sapeva come definirla. Si sentì grato al mago che gli stava di fronte, tuttavia scosse la testa toccandosi la tasca con la punta delle dita più volte.
- No, li terrò io – rispose quietamente, senza inflessioni nella voce.

Io non dimentico.

Olivander annuì, capendo il sottinteso, e lasciò andare via il ragazzo.

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