Capitolo 1


Erano molte le cose che un Black non poteva fare, e altrettante quelle che era obbligato a fare. Fondamentalmente un Black non poteva divertirsi, o almeno così la vedeva il figlio maggiore di Orion Black.
Sirius era la prova vivente che l’educazione della famiglia c’entrava poco con ciò che si diventava crescendo: alla fine era tutta questione di carattere.
I due coniugi dovevano aver pensato più di una volta che c’era qualcosa che non andava nei geni del figlio, perché più cresceva e meno sembrava un Black e, se Sirius non fosse stato così rassomigliante al padre, Orion avrebbe persino dubitato della fedeltà della moglie Walburga.
A differenza di suo fratello minore, Regulus, Sirius era sempre stato un bambino vivace, allegro e incline agli scherzi. Alle cene di famiglia era la spina nel fianco di qualsiasi parente e amava giocare tiri mancini a tutti. A nulla servivano le punizioni che i suoi genitori gli rifilavano, lui non amava seguire le loro regole e mai lo avrebbe fatto, per quanto loro potevano accanirsi sulla sua educazione.
Sirius trovava divertente mandare i suoi genitori su tutte le furie, li riteneva fin troppo seri e ligi alle regole e reputava la loro vita profondamente triste. Come qualsiasi bambino che si rispetti, poco gli importavano i giudizi che i due avevano su di lui e nemmeno che fossero irritati e sdegnati dal sul comportamento affatto consono alla famiglia Black.
Tuttavia, i due coniugi continuavano a ripetersi che era solamente una fase, che una volta cresciuto e maturato, Sirius avrebbe assunto norme di comportamento impeccabili, rendendoli fieri.
Con gli anni accadde che, sì, il ragazzino si calmò, ma solo perché le punizioni avevano cominciato a farsi più dure e lui si fece semplicemente più furbo. Iniziò a stare molto attento a non farsi scoprire e non importunò più alcun parente alle cene di famiglia.
Trovava irritante il doversi contenere e spesso il fratello minore era vittima dei suoi sfoghi.
“Hanno già il loro figlio perfetto. Cosa vogliono da me?! Tu dai loro tutto ciò che pretendono! Il principino Regulus Black”
Il più giovane non replicava mai a quelle parole e non cedeva ad alcuna provocazione, fin troppo saggio per essere solamente un bambino. Sapeva di essere trattato meglio di Sirius, dai loro genitori, non era cieco, né stupido, ma non aveva mai mosso una parola di scuse nei confronti del fratello maggiore, nonostante fossero piuttosto uniti.
Regulus aveva un carattere pacato e giudizioso, non amava fare sempre tutto ciò che gli veniva richiesto, ma aveva ben radicato in se un profondo senso del dovere e voleva fieramente tenere alto l’onore della famiglia. Sulle sue spalle era ricaduto il peso del figlio perfetto e lui non poteva fare altro che seguire tutte le rigide regole.
Un Black, ad esempio, non poteva ridere durante speciali occasioni, quali: feste private o pubbliche. Doveva sempre avere un portamento perfetto ed altezzoso, sedere composto a tavola e mangiare in un certo modo e solo determinate quantità di cibo. Il piatto stracolmo di Sirius e i suoi ripetuti bis erano un affronto alla propria famiglia e motivo di chiacchiere per quelli dell’alta società. I suoi modi di fare, poi, erano discutibili e sembrava che nessuno avesse mai insegnato l’educazione a quel ragazzino.
“Ehi, Reg, ho messo un topo finto sotto la sedia di zia Druella. Sentirai che urla tra poco”
In quei momenti Regulus si mordeva le labbra per non unirsi alle sguaiate risate del fratello. Per quanto fosse difficile, non gli era permesso trovare divertenti determinate cose, né riderne.

Quando arrivò per Sirius il momento di iniziare Hogwarts, Orion e Walburga si convinsero che le cose sarebbero cambiate veramente. Certi di avere l’ennesimo Serpeverde in famiglia, i due speravano che quella casata avrebbe portato un po’ di disciplina nel figlio maggiore. Mai previsioni furono più sbagliate.
Si ritrovarono un Grifondoro e, quando Sirius tornò dal suo primo anno scolastico, era, se possibile, anche peggiorato. I coniugi Black attribuirono la colpa alle nuove, discutibili conoscenze che il figlio si era fatto alla scuola di magia e stregoneria: un certo James Potter, loro parente alla lontana, Peter Pettigrew, di cui sapevano ben poco, e Remus Lupin, un ragazzino dall’aria perennemente malaticcia e, cosa peggiore, un mezzosangue.
L’idea che il loro erede si facesse vedere in giro con tali soggetti, come potete immaginare, non entusiasmava affatto Orion e Walburga, ma a nulla valsero i divieti e le imposizioni: quando Sirius era ad Hogwarts potevano fare ben poco e lui non faceva altro che parlare di quanto fossero fantastici i suoi nuovi amici e che non li avrebbe lasciati mai.
I Black assistettero inermi al declino del figlio maggiore, riponendo una raddoppiata fiducia nel figlio più piccolo, sempre più oppresso e ossessionato dal raggiungimento della perfezione.
Regulus non era una persona cattiva, ma per lui il giudizio dei genitori contava troppo e accontentarli divenne il suo unico obiettivo. I rapporti tra lui e Sirius si sgretolarono inevitabilmente. Non arrivarono ad odiarsi, ma semplicemente ad ignorarsi e a provare una fitta di nostalgia ogni volta che si incrociavano nei corridoi.

Accadde che nell’estate tra il quinto e il sesto anno, Sirius raccattò tutte le sue cose e, una notte di luglio, se la svignò per non fare più ritorno a Grimmauld place, numero 12. L’affronto fu tale che sua madre lo cancellò dall’albero genealogico della famiglia.
Cosa provò Sirius nel saperlo, nessuno dei suoi amici lo seppe mai, era sempre stato bravo a nascondere i propri sentimenti, specialmente quelli negativi, nemmeno lo stesso James era riuscito a capire se il migliore amico ne fu ferito o meno. Da quel giorno Sirius smise di nominare la propria famiglia ed i Potter lo accolsero come un secondo figlio. A sua detta, fu il periodo migliore della sua vita e fu sempre grato alla nuova famiglia.

Avevano giurato solennemente che avrebbero dato il meglio di se quell’ultimo anno ad Hogwarts, lui e James. Dorea e Charlus Potter li avevano guardati in silenzio e si erano poi scambiati uno sguardo scettico. Per tutto l’anno precedente erano stati sommersi dai continui gufi che li tenevano al corrente di tutte le malandrinate combinate dai due. Non riuscivano affatto a credere che le cose potessero essere cambiate in una sola estate e molto presto avrebbero scoperto di aver ragione.
“Un po’ mi dispiace per i tuoi”, esordì Sirius alla volta di James.
L’espresso per Hogwarts correva tranquillo lungo i binari che lo avrebbero condotto alla scuola. Le campagne britanniche si snodavano sotto i loro occhi, al di là del finestrino. I due sedevano in uno scompartimento, spaparanzati sui divanetti, in compagnia di Peter. Remus era da qualche parte a fare il proprio dovere di Caposcuola.
“Voglio dire, non ci hanno mai sgridati sul serio e noi gli abbiamo dati tanti di quei grattacapi. Mi ha fatto tenerezza il loro discorso, prima che partissimo”, aggiunse.
I coniugi Potter avevano provato a far loro un discorso serio, sull’importanza dello studio e della disciplina. Avevano usato i loro soliti modi pacati e gentili, ma avevano fatto chiaramente capire che non volevano più ricevere gufi dalla scuola.
James sorrise appena, scompigliandosi i capelli nel solito gesto automatico. I suoi gli avevano sempre concesso tutto, forse perché era il loro unico figlio e lo avevano avuto in tarda età, fatto stava che di discorsetti di quel tipo ne aveva ricevuti davvero pochissimi, forse solamente un paio. Sì, un po’ era dispiaciuto anche a lui.
“Beh, Pad, vorrà dire che quest’anno saremo più bravi e attenti… a non farci scoprire!”, dichiarò con un ghigno divertito, strappando un’esclamazione di gioia all’amico.
“Merlino, per un attimo ho temuto che stessi davvero insinuando che dobbiamo comportarci bene!”, con un sospiro di sollievo, Sirius si accasciò di nuovo contro lo schienale del sedile, “Non potrei sopportare di diventare come Remus, che senso avrebbe la mia vita poi senza divertimento?”
“La mia vita ha senso ed è piena di divertimento, grazie a voi”, replicò una voce dal tono vagamente stizzito. Remus John Lupin aveva appena fatto il suo ingresso nello scompartimento, giusto in tempo per sentire le ultime parole di Sirius. Sedette accanto a James, per poi mollare un lieve calcio sullo stinco del giovane Black, che rise.
“Ma se non fosse per noi saresti un triste e monotono secchione!”
“Sul serio, faresti concorrenza a Mocciosus!”, rincarò James, strappando una risata anche a Peter e facendo sospirare Remus. Il licantropo roteò gli occhi, alzandoli al cielo. Sapeva che lo stavano prendendo solamente in giro e non se l’era realmente presa, risultava quasi sempre difficile incazzarsi con quei tre.
“Scusate se fare l’idiota e finire sempre in punizione non è la mia priorità”
Ne seguirono altre prese in giro e le risate si persero per i corridoi del treno.
Arrivarono ad Hogwarts per l’ora di cena, come sempre. Sirius respirò a pieni polmoni l’aria di quella che era la sua seconda casa, non appena mise piede giù dal treno.
Lui e James erano affamati ed impazienti come due bambini di tre anni. Non persero tempo a lamentarsi dello Smistamento, per tutto il tempo e finsero di svenire, accasciandosi sul tavolo, quando Dumbledore attaccò con il suo solito discorso annuale. Ci guadagnarono le occhiatacce della McGonagall e una ramanzina da parte di Remus.
“L’anno non è nemmeno iniziato e voi già fate gli idioti!”, borbottò mollando ad entrambi un calcio da sotto il tavolo.
“Non fare il solito vecchio bacchettone, Rem”, mugugnò James.
“Siete dei bambini cattivi”, lo scimmiottò Sirius usando un tono di voce esageratamente in falsetto.
“Come faccio ad esservi ancora amico?”, sospirò il povero licantropo, volgendo lo sguardo altrove.
Non lo pensava sul serio, in tutti quegli anni non si era nemmeno chiesto come avesse fatto a finire in un gruppo del genere, era grato della loro amicizia e a volte credeva persino di non meritarla. Non era una novità che ogni tanto Remus avesse un calo di autostima e si sentisse inferiore al mondo intero. La sua condizione lo faceva sentire spesso un emarginato e si chiedeva spesso cosa ne sarebbe stato di lui se non avesse avuto i tre amici. Era legato a loro in maniera indissolubile, da qualcosa di profondo e sincero, nessuno aveva mai visto una tale amicizia prima di allora.
Certo, non capitavano le volte in cui li trovava irritanti e scansafatiche, ma il più delle volte non faceva che ridere con loro.
“Dai, Moony, non fare il musone”
“Guarda che ci mettiamo a piangere”
“Dammi un bacino, facciamo pace”
“Giuro che la smetto di rubare i tuoi appunti”
“No, idiota, questo no! Sai che senza i suoi appunti non sappiamo fare nulla!”
Quella fu una delle tante che volte che riuscirono a strappargli una risata e quello era uno dei motivi per cui non doveva nemmeno chiedersi perché fosse loro amico.

Nonostante quel giorno avessero più che altro viaggiato sul treno, Remus era distrutto e fu grato quando finalmente entrarono in Sala Comune e si ritirarono nella loro stanza. Se non fosse stato tanto fissato con l’ordine e l’igiene – i tre avevano avuto il coraggio di dirgli che era un ossessivo compulsivo – si sarebbe lanciato sul letto con tutti i vestiti. Era la settimana che precedeva la luna piena e non lo sorprendeva affatto, tutta quella stanchezza. Sedette sul bordo del letto, prendendo a snodare la cravatta, quando un paio di calzini volarono davanti i suoi occhi.
“Cazzo, Pad, sei disgustoso!”, la voce indignata di James giunse da qualche parte della stanza, mentre la risata sguaiata di Sirius lo derideva.
“Sono finiti sul mio cuscino! Merlino, puzzano più della vellutata di broccoli di mia madre… che schifo! Smettila di ridere, idiota! Adesso ti faccio vedere io…”
Con in mano i calzini incriminati, James si lanciò sull’amico, atterrandolo. Ingaggiarono una lotta durante la quale il giovane Potter provò a far mangiare a Sirius i suoi stessi calzini. Con un sospiro, Remus indossò il pigiama e si infilò sotto le coperte.
“Buonanotte, Peter”
“Buonanotte, Remus”

Note di fine capitolo

Piccolo capitolo introduttuvo senza pretese. Il personaggio principale della storia è Sirius ma non mancheranno momenti di James e Lily.

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