Anche quella sera, il tramonto faceva arrossare il mare in mille sfumature. Leucasia emerse in superficie, a distanza di sicurezza dalla riva. Si spostò una ciocca di capelli violetti dal viso e si guardò intorno circospetta: nessuna nave all’orizzonte. Scrutò allora verso la riva ma, delusa, non vide nessuno. Si immerse di nuovo e, con un rapido colpo di coda, si avvicinò di qualche metro. Non era prudente accostarsi tanto alla riva, ma il suo cuore la spingeva a nuotare ancora. Dopo qualche minuto, la sua costanza fu premiata: eccolo materializzarsi all’improvviso sulla spiaggia, stretto nel suo lungo mantello nero.


*


Da più di un anno oramai, quando i numerosi impegni glielo permettevano, Severus Piton si concedeva una passeggiata solitaria in riva al mare. Aveva scelto un lembo di terra isolato, difficile da raggiungere, anche a nuoto, per un normale babbano: una serie di scogli appuntiti proteggeva la spiaggia dalle onde e dai turisti.

La prima volta che era capitato su quella riva era stato dopo aver curato Silente, ferito da una maledizione, e avergli promesso di ucciderlo quando si fosse rivelato il momento più opportuno. Quella notte, inginocchiato sulla spiaggia, aveva urlato e pianto perchè l’unico uomo che si fosse mai davvero fidato di lui, l’unico che gli avesse mostrato affetto, stava morendo e lui non avrebbe potuto salvarlo. Rabbia e disperazione si erano alternate nella sua anima, seguendo il ritmo delle onde del mare. L’alba era sorta, colorando il cielo e illuminando un nuovo giorno, ma le lacrime non avevano permesso a Severus di assaporare la magia di quegli istanti.

Era ritornato su quella stessa spiaggia anche la notte in cui aveva ucciso Silente, dopo aver portato Draco al sicuro: avrebbe voluto annegare il dolore tra le onde, ma il Marchio Nero aveva bruciato sul suo braccio, richiamandolo ai suoi doveri.

Negli ultimi tempi, Piton era ritornato di tanto in tanto su quella costa, per trovare un rifugio dalla guerra, dalla bacchetta di Voldemort e dallo sguardo di Silente, che sentiva bruciare sulle spalle quando era nell’ufficio del Preside.


*


Leucasia non avrebbe saputo dire quando si era innamorata di quello sconosciuto: forse già dalla prima volta in cui lo aveva sentito urlare tutta la sua rabbia per poi vederlo cadere in ginocchio sulla sabbia e piangere. Il suo dolore l’aveva commossa, il suo tormento l’aveva sconvolta. Poi l’aveva aspettato ogni giorno e l’uomo misterioso aveva ripagato la sua attesa ritornando qualche volta, sempre al tramonto. Lei lo aveva guardato, aveva spiato da lontano i suoi gesti e i suoi movimenti, avvicinandosi di più ogni sera, finché il richiamo verso quello straniero si era fatto irresistibile. Solo quando spariva nella notte, la Sirena si attentava ad uscire dall’acqua per respirarne il profumo e seguirne le tracce con lo sguardo.

Anche quella sera, l’uomo era tornato a lasciare orme sulla sabbia, con lo sguardo perso e i pugni stretti. Quale dolore dilaniava la sua anima? Qual era la sua storia?

Quanto avrebbe desiderato avvicinarsi, parlargli, asciugare le sue lacrime sfiorandogli le guance con un bacio. Leucasia però non era sicura se quello sconosciuto fosse davvero un mago e non poteva prevedere la sua reazione se l’avesse vista: per questo motivo non gli si era mai mostrata, limitandosi a rimanere sotto il pelo dell’acqua. D’altra parte, guardarlo da lontano aumentava il suo desiderio, la tentazione di toccarlo, di farsi toccare, di portarlo con sé sotto le onde e farlo suo.

Quella sera, infrangendo ogni buon senso, Leucasia si avvicinò, nuotando appena sotto la superficie delle onde. Si aggrappò ad uno scoglio e, con la lunga coda ancora nascosta dall’acqua salata, iniziò a cantare:



Scrivi i tuoi pensieri sulla sabbia

ed io domani mi ricorderò.

Scolpisci il tuo volto sulla roccia

ed io domani lo bacerò.



Lascia il tuo profumo lì nell’aria

ed io forse lo respirerò.

Parlami di te e della tua storia

e puoi giurare che ti ascolterò.



Lascia i tuoi passi sulla sabbia

ed io domani li seguirò.

Lasciati spogliare della tua rabbia

e con un’onda la sommergerò.



La tua anima dipinta sulla spiaggia

è come un quadro che parla di te.

E grida all’infinito la tua storia

e con un’onda la raccoglierò.



Io sono il mare non ho memoria

ma sono qui ad ascoltare te.

Chiudi in bottiglia la tua triste storia

la porterò poi via con me.



E chiederò anche all’amico vento

di spingerla insieme a me.

La lasceremo andare fino in fondo

lontano da te.



I pensieri di Severus Piton furono distratti da una melodia strana, diversa da qualunque musica avesse mai ascoltato. Il Professore non riusciva a capire da dove provenissero quei suoni: sembravano scaturire dall’acqua stessa, portati dalle onde e dal vento. La melodia gli fece venire i brividi, ma era piacevole da ascoltare. Non ne capiva le parole né il significato, ma era una musica triste, dolce e violenta allo stesso tempo, malinconica. Le note smarrirono i suoi pensieri, avvolgendolo come in un vortice caldo, fino ad arrivare a toccare la sua anima, a far vibrare le corde più profonde del suo spirito. Sentì calde gocce salate scivolargli dagli occhi socchiusi fino alle labbra: queste si schiusero in una preghiera appena sussurrata.


*


Leucasia continuava a cantare la sua canzone, osservando la persona di cui si era innamorata: sentiva la musica, era evidente, e vi si era abbandonato completamente. La Sirena si chiese se l’uomo conoscesse il Marino e potesse capire le sue parole, il suo canto d’amore. Lo vide piangere: avrebbe voluto mostrarglisi e, con la sua voce, allontanare il dolore, ma non conosceva neppure il suo nome né che cosa lo facesse soffrire tanto. In che modo avrebbe potuto consolarlo? Come poteva proteggerlo? L’unica cosa che poteva fare in quel momento per aiutarlo era continuare a cantare:



Cadono dagli occhi sulla sabbia:

sono diamanti che custodirò.

Scendono parole dalle tue labbra:

sono pensieri che poi leggerò.



Guarda ancora all’infinito,

ormai il sole si perde in me.

E scrivi il tuo nome con un dito

ed io lo porterò via con me.



Io sono il mare non ho memoria

ma sono qui ad ascoltare te.

Chiudi in bottiglia la tua triste storia

la porterò poi via con me.



E chiederò anche all’amico vento

di spingerla insieme a me.

La lasceremo andare fino in fondo

lontano da te.



Io mi confonderò e poi ti avvolgerò

e ti proteggerò da tutto questo.

E poi ti guiderò e poi ti porterò

lontano dalla tua storia.



Io sono il mare non ho memoria

perditi pure dentro me.

Cancello i tuoi passi sulla sabbia

e poi ti porto via con me.



Una serie di note alte e veloci riportarono Severus Piton alla realtà. Riaprì gli occhi: il sole ormai era tramontato, lasciando un cielo scuro, disegnato di stelle. Era ora di tornare: non poteva lasciare la scuola incustodita per troppo tempo. I suoni erano cessati, sostituiti dalla sciabordio dell’acqua contro gli scogli. Da dove era venuta quella musica? Se l’era forse solo immaginata? Non aveva molta importanza: non c’era posto per una musica dolce in un mondo in guerra. Pensare che intorno a lui ci potesse essere ancora qualcosa di bello, di caldo e di avvolgente era un illusione che non poteva concedersi. Aveva bisogno di restare lucido e freddo per sopravvivere, per portare a termine il suo compito. Severus Piton scomparve nella notte, mentre il vento disperdeva il suono della sua smaterializzazione e le note di una canzone sconosciuta.


*


Leucasia aspettò ancora, ogni sera, mentre il sole moriva in una macchia insanguinata nel mare, che lo straniero ritornasse sulla spiaggia, ma non lo rivide mai più.



Ogni sera la Sirena intona il suo canto d’amore e aspetta. Aspetta invano l’uomo che ama. Severus Piton è ormai lontano, ha chiuso in bottiglia la sua storia ed è sprofondato in abissi verdi, cullato, io spero, da una dolce melodia.



Io sono il mare non ho memoria

ma non mi scordo più di te.

Note di fine capitolo

La canzone che ha ispirato questa storia è: Mare senza memoria di Barbara Monte.
Leucasia è il nome della Sirena che si credeva attirasse i marinai sulle coste della Puglia e da cui deriva il nome della città di Leuca: una piccola reminescenza della mia vacanza in Puglia.

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